Giovanni Faccenda

E’ sempre l’uomo, visto nei panni della creatura predestinata, l’elemento principale dell’esercizio espressivo di Dovilio Brero, autorevole artista piemontese protagonista di una bella rassegna, curata da Renzo Mezzacapo e intitolata «Progetto Minotauro-Labyrinthos», che la galleria comunale d’arte moderna ospita all’interno del proprio spazio espositivo fino al 23 novembre.
Nel significativo gruppo di lavori scelti per l’occasione, appartenenti ad un arco cronologico che copre gli ultimi tredici anni dell’attività dell’artista, ritorna ad affermarsi un’umanità vinta da un’inquietudine esistenziale che non conosce lieto fine, per la quale l’unica salvezza possibile è di fatto rappresentata dalla rassegnata accettazione del male di vivere.
Forte è così l’apporto emozionale che si evince dalla sobria teoria di colori mescolati ai segni, un incedere sistematico che rivela la volontà dell’autore di registrare la vita in ogni suo mutamento, in ordine a quegli attimi che in qualche modo hanno impresso un senso all’interno della sua sfera sentimentale. E di spessore risultano pure i contenuti interiorizzati nel complesso iconografico, espressione codificata di una pittura che si rifà ad un modello di cultura, dove leggenda e religione consolidano, in molti dei loro archetipi, l’esiguo confine che separa reale ed irreale.
Il mito è qui. E Dovilio ci arriva percorrendo a ritroso l’itinerario che conduce all’apoteosi del mistero, il luogo dove alberga la verità sulla vita ed è custodito l’arcano che è toccato in sorte ad ogni uomo. Bisogna sostare, e lasciarsi sfiorare dalla voce dei sogni: racconta di un’energia meravigliosa che scorre fra le onde del mare, l’azzurro del cielo e i boschi della terra. Una voce insopprimibile, talvolta un «grido», che questo eccellente interprete dell’essenza continua a tradurre in pittura in modo subliminale, raccogliendo, delle cose, sempre il significato più autentico.

Giovanni Faccenda

articolo pubblicato su La Nazione il 15 novembre 2001.
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